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Fiere e sostenibilità ambientale: un confronto tanto scomodo quanto urgente

15-ott-2019 09.33.21 | Giorgio Massignani

Creating value through sustainabilityMartedì 1 Ottobre, al Centro Svizzero in Piazza Cavour a Milano, è andato in scena l’ultimo evento della rassegna Exhibitionist, frutto della collaborazione tra Fondazione Fiera Milano e MEET Digital Culture Center (già Meet The Media Guru).

Il tema della serata era di assoluta attualità e al centro delle riflessioni che molti professionisti del nostro settore cominciano a fare: la sostenibilità ambientale, come implementarla nel mondo degli eventi e delle fiere, e come far sì che rappresenti una leva di valore invece che un fattore ostativo per il business.

Non c’è dubbio che il format fiera sia il prodotto di un’economia d’altri tempi e ora ci si domandi in che modo possa essere rivitalizzato per risultare attrattivo nei confronti delle nuove generazioni. Le stesse generazioni che in queste settimane sono scese nelle piazze di tutto il mondo a manifestare per una causa tornata nel dibattito pubblico di questi anni sotto il simbolo dell’attivista Greta Thunberg.

Il key-note speaker della serata è stato Guy Bigwood. Negli ultimi 15 anni Guy Bigwood ha collaborato con città, istituzioni e il mondo degli eventi e dell’ospitalità per aiutarli a sviluppare e accelerare i programmi di sostenibilità. Attualmente è Direttore Generale di Global Destinations Sustainability Index, una multistakeholder partnership che ha come obiettivo quello di rendere più sostenibili le destinazioni del turismo d’affari. Ha collaborato con le Nazioni Unite ed è stato Direttore Sostenibilità di MCI, la più grande agenzia al mondo di association management, comunicazione e organizzazione eventi.

Guy esordisce senza mezzi termini, ricordandoci che 

per rispettare le indicazioni degli scienziati e scongiurare l’aumento della temperatura globale oltre il famoso ‘punto di non ritorno’ dei 2°C a livello globale dovremo essere in grado di dimezzare le nostre emissioni di CO2 del 50% entro il 2030. Un obiettivo che, se applicato alla realtà aziendale di ciascuno, appare subito come decisamente ambizioso per non dire utopico.

Il contesto globale non è aiutato dalla sottrazione degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi voluta dal Presidente Trump nel 2017 (ricordiamo che i maggiori Paesi inquinanti a livello assoluto nel mondo risultano essere USA, Cina ed India), che da solo ha fatto arretrare la diplomazia mondiale di un decennio su questo tema. Eppure, chiosa Guy, la crisi climatica rimane un argomento largamente ignorato dalle agende politiche dei principali partiti.

Le buone notizie vengono dall’ampliamento della green economy e dall’avanzamento tecnologico che ha determinato un deciso calo nel prezzo medio di alcuni dispositivi che sono ormai a buon mercato, al contrario di solo 5 anni fa: pensiamo ai pannelli solari/fotovoltaici, o all’auto elettrica. Secondo Guy, il mondo degli eventi ha l’occasione storica di farsi portatore di un cambio di paradigma che molto presto attraverserà giocoforza tutti i comparti economici, perché – utilizzando un famoso slogan dei Fridays for Future – ‘there is no Planet B’.

2A questo punto della serata si alternano sul palco due case study d’eccezione: MIDO e Fiera Milano.

MIDO, rassegna leader mondiale per l’eyewear, in occasione del suo cinquantenario nel 2020, ha dato una forte connotazione green alla manifestazione, cercando di sensibilizzare sul tema sia internamente il proprio staff, che esternamente gli stakeholder della fiera.

Grandi sforzi sono stati fatti per rendere gli uffici di Confindustria Moda plastic free e print free, è stato indetto un contest tra gli espositori per chi riuscirà a costruire lo stand meno impattante dal punto di vista ambientale e l’evento stesso sta lavorando per ottenere la certificazione ISO20121.

Fiera Milano, dal canto suo ha attivato il management di CSR per indire un concorso fra i dipendenti sulla creazione di progetti legati al tema della sostenibilità: non semplici brainstorming ma veri e propri spunti di business che venissero selezionati dal quartiere per una implementazione nel piano industriale.

Tornando sul palco, Guy ci ricorda che questi esempi sono certamente virtuosi e andrebbero comunicati più spesso e meglio, ma non ancora abbastanza per mettere in atto quella rivoluzione di pensiero che si potrebbe auspicare per le fiere. Ricordando che i grandi eventi sono un catalizzatore primario della movimentazione di persone e risorse verso le città, si cita un importante studio della municipalità di Sydney che ha calcolato che circa il 46% dei rifiuti commerciali sono generati dal flusso turistico. Chi si pone questo problema? Chi si prende la responsabilità di risolverlo?3

La buona notizia è che c’è un ventaglio di soluzioni intraprese da diversi soggetti negli ultimi anni: dall’Exhibition Center di Stoccolma allo stesso ICC di Sydney, all’IMEX di Francoforte, ognuno ha attivato diversi metodi per abbattere gli sprechi e le spese che risultavano più impattanti per la singola realtà. Come sempre, solo a voler copiare alcune di queste best practice, di sarebbe molto su cui lavorare. Dunque il primo step per affrontare la questione della sostenibilità degli eventi è misurare: esistono diverse aziende che si occupano di misurare l’impronta carbonica degli eventi (MyClimate, per esempio). Una volta scoperto quali funzioni e processi risultano i meno sostenibili si può pensare di agire per razionalizzarne i consumi, produrre meno rifiuti o richiedere standard più alti ai fornitori di determinati servizi. Può trattarsi di soluzioni di design creativo per quanto riguarda gli stand, che a fiera finita sono tipicamente poco riutilizzati. Oppure il riutilizzo dei pasti avanzati dai catering per azioni di solidarietà sociale, per abbattere gli sprechi di cibo. O ancora il riciclo del materiale promozionale creato per la fiera.

A valle di questo ventaglio di opzioni è anche possibile ‘compensare’ le emissioni di carbonio provocate dall’evento tramite i servizi di carbon offsetting, che permettono di investire alcune risorse per opere di riforestazione et similia.

A questo punto ci domandiamo: chi ce lo fa fare? Perché la sostenibilità dovrebbe stare a cuore alla mia azienda se non esistono obblighi in merito?

La risposta è che i recenti eventi ci stanno dimostrando sempre più come la sostenibilità cominci ad essere un elemento di grande sensibilità per le nuove generazioni e alcune nicchie di mercato: diverse grandi aziende che hanno come riferimento un target particolarmente suscettibile sul tema stanno cominciando ad attivarsi. Pensiamo al mondo della moda, della mobilità, del food (non a caso tre delle industrie più inquinanti a livello aggregato): molti marchi stanno cominciando a disertare gli eventi in quanto non più percepiti come un’attività commercialmente sostenibile dalla clientela di riferimento. Tutti sanno che molte fiere si reggono su grandi introiti garantiti da pochi grandi leader di mercato: a questo punto dobbiamo chiederci se sia meglio attendere che questi leader comincino ad organizzare eventi residenziali, meno costosi ed inquinanti, oppure se approfittare della nostra posizione per tracciare un percorso virtuoso e per tutti i player dell’industria?

Written by Giorgio Massignani

Giorgio Massignani è senior researcher di GRS Ricerca e Strategia.

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